//“La terra sotto i piedi” di Daniele Silvestri
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“La terra sotto i piedi” di Daniele Silvestri

di Clara Calavita

Spensieratezza e riflessione. È una pregevole capacità artistica quella di unire gli estremi ed essere capace di passare senza scossoni dalla levità all’impegno, senza che la prima risulti fuori luogo né il secondo appesantisca. Ci riesce da anni, fin dagli inizi della sua carriera, Daniele Silvestri, che sabato 23 novembre 2019 ha chiuso al Pala Alpitour di Torino il tour legato al disco “La terra sotto i piedi”.

Un concerto extra large sotto tutti gli aspetti, dal palco che occupa metà parterre e permette agli spettatori di disporsi a semicerchio intorno a esso, alla durata, a una band di ben nove musicisti più lo stesso Silvestri, che oltre ad ampliare una normale formazione pop con un organico ricchissimo che si adatta alla molteplicità dei brani proposti, riunisce anche molti nomi di gran lustro tra i professionisti della nostra musica, tra cui due volti noti come Fabio Rondanini, batterista di Afterhours e Calibro 35, e il chitarrista Adriano Viterbini. Nomi che, insomma, hanno una carriera personale avviata, ma che non temono di mettersi al servizio di un altro artista. E Silvestri, d’altronde, ha l’intelligenza di lungo corso di chi sa usare le peculiarità di ogni musicista per mettere in massima luce i suoi brani, e quindi dimostrare anche il suo stesso talento.

Perché il concerto, che parte con i brani tratti dall’ultimo lavoro, in realtà è un lunghissimo spettacolo. Nell’arco di tre ore si ripercorrono anche i venticinque anni di carriera di Silvestri, che nel brano Complimenti ignoranti si toglie un sassolino dalla scarpa nei confronti dell’arena virtuale che gli suggerisce “di ritornare ai pezzi buoni”. E dimostra che i pezzi buoni ci sono sempre stati, a partire da L’uomo col megafono che lo lanciò nel 1994. La parte centrale del concerto è infatti un percorso, quasi anno per anno, dei brani che hanno costruito la sua carriera, ripescando anche pezzi meno noti, accompagnati da materiale audiovisivo in parte d’archivio e in parte d’attualità, che mostra una delle due anime di Silvestri, quella più politica e impegnata.

L’altra, quella più festaiola, arriva nell’ultimo capitolo del concerto, che riprende invece i pezzi più allegri e spensierati. Nel tira e molla con il pubblico, in una sequenza di finte uscite di scena, il cantautore gioca a farsi chiedere dagli spettatori i pezzi più celebri, da Salirò a La paranza; i brani, insomma, che tutti si aspettano di sentire, in quell’equilibrio complicato che gli artisti devono a volte gestire tra una manciata di pezzi noti anche ai fan meno fedeli e brani intimamente più importanti.

La cornice è un palco dove c’è davvero la terra, e solleva un polverone quando i musicisti si fanno prendere dalla foga, e uno spettacolo in grande stile, con componenti visuali studiate con precisione per guidare il pubblico tra le anse emotive del concerto. Nota di merito per Rancore, ospite non solo nel brano Argentovivo, presentato insieme all’ultimo Festival di Sanremo, cui viene concesso ampio spazio per portare sul palco vari suoi brani con l’accompagnamento della band, e che dimostra a sua volta una freschezza accompagnata da testi di livello autoriale molto alto. Ben oltre la moda, spesso abusata, di inserire a forza nei brani pop un intervento rap, la presenza di Rancore è un incontro coerente di generazioni e linguaggi diversi ma non disarmonici. Come già nella grande attenzione che Silvestri, sul palco, dedica a ogni singolo musicista che lo affianca, anche i passaggi affidati a Rancore dimostrano l’intelligenza artistica di chi, pur protagonista assoluto al centro del palco, sa che la musica è fenomeno collettivo, come collettiva è la presenza del pubblico sotto al palco. Non un accumulo, ma una costruzione.

Le foto del report sono di Clara Calavita