//Ipa, serie Tv teen-drama e Any Other allo sPAZIO211, 1° dicembre 2018

Ipa, serie Tv teen-drama e Any Other allo sPAZIO211, 1° dicembre 2018

di Mattia Muscatello

Ordino una Ipa alla spina al bancone del bar, in controluce la birra ha il colore dell’ambra dai riflessi fulvi, è leggermente torbida, sembra non filtrata. Il gusto è quello intenso e amarognolo tipico delle Indian ma con un finale dolce e fruttato. Penso che sia veramente buona.

Intanto le luci si abbassano, il pubblico si avvicina al palco e mi accorgo che i 72 Hour Post Fight sono pronti a esibirsi. Non conosco il gruppo, non l’ho mai sentito neanche nominare. Sono giovani, forse della stessa età di Adele quando ha prodotto Silently. Quietly. Going Away: un batterista, un chitarrista, un sassofonista e un tastierista. Sul palco ci sono anche un Mac, una serie di mixer e tastiere midi, forse un synth ma non riesco a distinguerlo. Sarà il timbro del sax contralto, saranno i suoni riverberati (compresa la batteria), il soffitto basso, il palco praticamente a ridosso del pubblico, che l’atmosfera percepita è la stessa di una puntata onirica e inquietante di Twin Peaks, quella in cui i Truble hanno suonato Snake Eyes. Lo sPAZIO211 si trasforma in Roadhouse, grazie anche alle luci soffuse e non troppo invasive, i tavolini ai lati della sala occupati da coppie che sorseggiano drink e il pubblico attento e silenzioso che si muove ondeggiando a tempo, lentamente. Immagino anche la scritta “The bar” al neon rosso, insieme al profilo di un revolver che spara le parole “bang bang” che lampeggiano a intermittenza.


72 Hours Post Fight

Mi avvicino a osservarli meglio, addentrandomi senza sforzi tra la folla. I brani strumentali si susseguono, ormai ho capito che nessuno si avvicinerà ai microfoni per cantare. Intanto tra il pubblico individuo una coppia. Sono Adele Nigro e Miles Cooper Seaton, il bassista che la accompagnerà nel tour (c’è anche un Agente Cooper tra il pubblico). Poco più in là vedo anche Marco Giudici con un cocktail in mano, tutti stanno ascoltando il gruppo spalla che più tardi scoprirò, parlando proprio con gli Any Other dopo il concerto, che sono amici che li accompagnano dall’inizio del tour, non hanno ancora pubblicato nulla ma stanno registrando un disco e che Andrea Dissimile, il batterista, ha suonato per i Nadàr Solo (ecco dove ho sentito quella grinta e quella precisione di colpi di cassa che fanno chiedere se stia usando il doppio pedale) e oggi suona per i Generic Animal. Guardo Adele, lei ricambia lo sguardo. Abbozzo incerto un cenno col capo e apro leggermente la bocca senza emettere alcun suono. Aleggia una micro-situazione imbarazzante in cui Adele per gentilezza fa finta di niente guardandosi in giro in cerca di qualcuno. La voce mi si incaglia in una rete di timidezza, lei è proprio lì a fianco a me, si trova a portata di parola ma niente, non ho il coraggio (bel giornalista che sono, penso), lei torna a concentrarsi sul concerto. Vorrei dirle che è un gesto carino e per nulla scontato quello di ascoltare il gruppo spalla, ed evitare di dirle che è davvero affascinante dal vivo. Vorrei chiederle se ascolta spesso i concerti prima delle sue esibizioni e se la cosa la rilassa, ed evitare di chiederle la mano. Esagero, anche se non ho bevuto abbastanza per potermelo permettere, ma in fondo sono solo fantasie sceme e qualcosa mi dice che è meglio non disturbarla dato che continua a guardarsi in giro, in cerca di quello che ho scoperto più tardi fosse il suo ragazzo (non è stato l’unico momento della serata in cui il mio cuore è andato in frantumi). Il concerto continua e il pubblico apprezza moltissimo, lo si sente dagli applausi calorosi e dai fischi lasciati sfogare nei momenti in cui la musica si abbassa nonostante ogni pezzo sia perfettamente mixato agli altri come un flusso di musica costante. Ultime ovazioni per i 72 Hour e il cambio palco avviene rapidamente. Anche io sono rimasto entusiasta, soprattutto per i colpi di cassa riverberata di Dissimile e gli inserti di elettronica amalgamati al sax.


Any Other

Adele, oh Adele che prima eri così vicina a me, ora sei sul palco insieme ai musici, imbracci la chitarra acustica con sicurezza e quel sorriso da adolescente sbarazzina, tipico dei tuoi videoclip. Potrebbe benissimo far parte del cast di una nuova stagione di Skins e recitare con l’accento inglese cockney, forse lo penso anche perché sto vivendo un teen-drama che mi riporta indietro di almeno dieci anni. Il gruppo suona i brani tratti da Two, geography, secondo album pubblicato per 42 Records, in ordine di tracklist; segno che il disco è stato pensato per essere ascoltato tutto di fila, come un viaggio, un percorso tra le tracce che fanno da mappa nell’universo narrativo della band. Ogni canzone è un capitolo e come ogni buon romanzo il disco ha una struttura narrativa forte, con picchi di tensione e distensione, tradotti nelle dinamiche da concerto. Ascoltando la band si ha la stessa sensazione percepita dall’ascolto del disco, amplificata dalla performance live. Mentre l’immaginazione viaggia noto che i capelli di Adele vengono colpiti dalle luci di scena. La mia mente associa l’immagine della cantautrice illuminata a quella della Ipa in controluce, la sfumatura si confonde con il colore dei suoi capelli. La sua voce ha le stesse note dolci amare e fruttate, i testi sono diretti, forti, non filtrati, in alcuni momenti urlati ma sempre perfettamente intonati. Penso sia veramente brava.


Adele, oh Adele

Non mi capita spesso di ascoltare un gruppo “indie”, “underground”, “emergente”, “chiamalocomevuoi” che ha la fortuna di avere una musicista dalla buona penna e dalla voce come la sua. Adele infatti scrive tutti i testi, suona sassofono, chitarra acustica ed elettrica con tecnica fingerpicking e padroneggia un fantastico cantato vibrato, una voce cristallina capace di modularsi e sporcarsi all’occorrenza, senza dare l’impressione che si stia sforzando. Addirittura il suono degli archi e del sax viene sostituito, in mancanza degli strumenti veri e propri, dalla voce di Adele con un effetto apprezzato. La voce è uno dei motivi per cui mi sono veramente emozionato, soprattutto quando Adele rimane da sola sul palco, accompagnata esclusivamente dalla sua Fender acustica (rossa anche quella), per suonare Mother Goose e Sonnet #4, uno dei tre brani del primo album suonato come “bis annunciato” insieme a una versione Psycho Killeriana di Something.


Marco Giudici passa alle tastiere synth e al Rhodes

Se il pubblico è stato tanto caloroso con i 72 Hour, durante l’esibizione degli Any Other è quasi reverenziale. Il gruppo se ne accorge e avviene sul palco uno scambio di sorrisi gongolanti di intesa e orgoglio. A parte il suono della batteria in certi momenti un po’ pestato, per Alessandro, Miles e Marco, che passa dal basso alle tastiere synth e Rhodes, non vanno risparmiati gli elogi per una serata oserei dire totale.

In quanto al mio cuoricino spezzato me ne farò una ragione, alla fine sono riuscito anche a parlarle e in fondo anche la birra era buonissima.

Fonti e approfondimenti

Any Other, “Two, Geography” su Spotify

Any Other + 72 Hour Post Fight in concerto a sPAZIO211/Torino (evento Facebook)

Any Other, “Two, Geography” (2018) su Rockit.it

Il futuro è degli Any Other, tra Wilco e jazz da cantare, “Rolling Stone”, 5 giugno 2018

Adele Nigro: Non voglio razzisti e misogini ai miei concerti, “Rolling Stone”, 15 settembre 2018

Any Other, “Silently. Quietly. Going Away” (2015) su Rockit.it

Le foto sono state scattate da Mattia Muscatello e tratte dall’evento Facebook del concerto.