di Mattia Muscatello
Il suono della pioggia battente in chiusura a Immensità, l’ultimo disco – o la Suite come viene spesso chiamato – di Andrea Laszlo De Simone, è lo stesso che ha accompagnato il pubblico alle porte del Cap10100, a Torino, sulla sponda destra del fiume Po. È piovuto ininterrottamente da due settimane e il giorno seguente il concerto (venerdì 22 novembre) la Protezione Civile avrebbe annunciato lo stato di allerta e la passeggiata dei Murazzi di Torino sarebbe stata allagata completamente in preda alle forze della natura.
Come le potenti acque del Po, così la musica del cantautore d’origine abruzzese ha travolto la sala stracolma di gente (sold out annunciato a un giorno dall’evento) seduta o sdraiata su teli colorati, assorta in un silenzio quasi sacro, dando luogo a un effetto “Tour nei teatri”. Un’altra immagine che viene in mente è quella di una piccola Woodstock al chiuso, ma potevamo aspettarcelo poiché un post pubblicato sull’evento Facebook invitava il pubblico a portare un cuscino sul quale sedersi per godersi al meglio lo spettacolo.
Con queste premesse è giunto a Torino il tour di Immensità, disco uscito l’8 novembre per 42Records in digitale e vinile, duplice come l’anima del cantautore che si esprime in una musica dal respiro etereo e immenso come il web e in testi fisici e graffianti come la materialità del solco dei dischi in gommalacca. In nove sul palco per dare vita a uno spettacolo in tre atti: un primo in cui è stata ripercorsa dall’inizio alla fine la tracklist del nuovo disco, senza interruzioni tra un brano e l’altro, come fosse un viaggio nel continuum spazio-tempo nelle vastità dell’universo delle emozioni umane, per poi continuare negli atti seguenti con i brani di Uomo Donna (2017) e Ecce Homo (2012), riarrangiati per la nuova sezione archi/fiati che ha elevato il suono a una dimensione orchestrale. Il cielo stellato sulla copertina del disco, la Via Lattea forse, è lo stesso presente alle spalle dei musicisti a comporre una scenografia essenziale insieme a luci, strobo sfera e l’abbondante uso della macchina del fumo che ha un sapore tipicamente anni Settanta.
Se nel vortice di suoni capita di chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare in un viaggio senza meta non temere, al risveglio ci sarà sempre ad aspettarti una luce familiare, una stella polare che indica il nord o un faro guida nel ritorno sulla Terra, quella luce è la brace della sigaretta ravvivata dal respiro alternato a canto di Laszlo, un punto fisso e costante nel firmamento durante tutto il concerto.
Verso la fine dello spettacolo anche l’anima più quieta si è risvegliata al suono di Fiore mio, dando il via a una danza sfrenata, un baccanale guidato dai satiri Laszlo e Sasso verso un epilogo trionfale, una marcia, oppure il Boléro di Revel che tanto ricorda Conchiglie, verso una standing ovation meritatissima.
Le foto del report sono di Mattia Muscatello